Le prime testimonianze scritte della presenza di un’attività mineraria nel territorio di Calceranica risalgono al XVI secolo d.C.; si ritiene però che l’estrazione di minerali fosse praticata sin dalla preistoria. Potrebbe esserne una dimostrazione l’impianto fusorio sopra Vetriolo che si estende sugli altopiani di Lavarone e Luserna, risalente all’età del Bronzo (XIII-XI secolo a.C.) e altre testimonianze dell’epoca Romana e nell’Alto Medioevo.
Non è difficile immaginare come un luogo così ricco di storia possa aver sollecitato la fantasia e le credenze dei residenti della zona. A protezione delle gallerie della miniera si tramandava che vi fosse un Basilisco, un enorme serpente con due piedi e la testa di un gatto. La sola vista del mostro era sufficiente ad uccidere gli sfortunati che rimanevano pietrificati dallo spavento e morivano per il soffio velenoso e fetente della bestia. Non è da escludere che la storia del Basilisco venisse raccontata per tenere lontani bambini curiosi, per giustificare le numerose morti dei minatori, dovute ad incidenti o conseguenti a malattie proprie del lavoro in miniera.
I depositi furono utilizzati per ricavare dapprima rame, poi nel corso del 1800 lo spolverino d’oro, detto sugarina, una polvere assorbente utilizzata nella stesura dei manoscritti; infine nel corso del ventesimo secolo venne ricavato prevalentemente acido solforico, sebbene la pirite contenesse discrete quantità di rame, piombo, zinco, oro e argento.
Interessante è ricordare un episodio risalente al 20 settembre del 1619 che avrebbe potuto stravolgere il corso della storia della miniera: quando alla dogana di Bolzano furono sottratte a Leonardo Stefanelli delle casse contenenti merce sospetta. Una cassa spandeva e Stefanelli si era fermato per trovare qualcuno che potesse riparare il danno, ignaro delle conseguenze. Le casse contenevano mercurio ed erano destinate a Ferdinando Busio Castelletti, signore di Nomi. Non si sa con esattezza a che utilizzo fosse destinato quel mercurio, ma è possibile, visto l’interesse del Castelletti nell’attività mineraria, che potesse servire per l’estrazione a freddo dell’oro, procedimento che consiste nel polverizzare il minerale contenete l’oro, aggiungervi quindi mercurio e acqua per ottenere un amalgama di mercurio e oro.
Per via dell’imprevisto alla dogana però, come sarebbe potuta andare rimarrà un mistero.
Bibliografia:
– M. Avanzini, P. Frizzo, M. Lanzinger, P. Passardi, P. Zammatteo, le miniere del Mandola in Valsugana a cura di P. Passardi e P. Zammatteo. Museo Tridentino di Scienze Naturali – 2004
– Francesca Roccabruna, Calceranica al lago. Publistampa Arti Grafiche, Pergine Valsugana – 2006
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